In questi giorni ricorrendo la Giornata della Memoria ho riflettuto molto insieme ai miei ragazzi a scuola su cosa vuol dire ricordare e su che cosa sia meglio ricordare. Nel programmare la lezione, che alla fine come di consueto finirò per fare almeno una decina di volte, ho cercato una storia da poter raccontare a loro che aiutasse a capire quanto gli avvenimenti del passato non dovessero ripetersi mai più.
Ho cercato a lungo di capire cosa potesse aiutarli meglio a comprendere il dramma del nazi-fascismo. Ogni storia che cercavo su internet la trovavo distante da me e immaginandomi di insegnarla a scuola ho capito che sarebbe stata distante anche per loro.
Così frugando tra le mie cose ho avuto un’illuminazione, mi è venuto in mente che in fondo la storia che volevo raccontare l’avevo in casa e che era anche correlata di un reportage fotografico veramente unico e completo.
Di solito tendo a pubblicare foto che ho scattato io, questa volta invece il reportage e le foto non le ho scattate io ma mio nonno dal 1939 al 1945.
Per capire cosa il fascismo è stato per l’Italia e gli italiani dobbiamo forse allontanarci un po’ dall’immaginario collettivo di taluni che credono ad un regime fascista in fondo buono, generoso, che ha fatto grandi cose e ha reso grande l’Italia nel mondo.
Il fascismo di cui voglio parlarvi e quello reale, quello che passava a casa per casa a cercare uomini da mandare al fronte e donne da far lavorare in fabbrica per supportare lo sforzo bellico, il fascismo di cui voglio parlarvi è quello che nelle parole di mio nonno ha fatto sì che lui perdesse gli anni migliori della sua giovinezza.
Una storia di famiglia
Nato nel 1915 ed ultimo di 9 fratelli mio nonno era l’unico che aveva studiato, poiché essendo appunto l’ultimo sua sorella, la più grande che gli aveva fatto praticamente da madre, aveva insistito che lui studiasse ciò che gli piaceva. Era andato così a studiare in Conservatorio e aveva imparato a suonare il violoncello. Come tutti gli studenti dell’epoca era stato obbligato a prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista e partecipare obbligatoriamente alle manifestazioni in quanto non ci si poteva sottrarre all’obbligo pena essere arrestati e mandati al confino. Raggiunta la maggiore età era arrivato il momento di andare a fare il servizio militare.
L’obbligo di leva era per lui ridotto in quanto i suoi fratelli avevano già fatto il servizio militare e per la legge allora in vigore essendo l’ultimo dei fratelli a lui sarebbe stato ridotto solamente a sei mesi. Le cose però come è facile immaginare non andarono così, anzi furono decisamente diverse da come se le aspettava.
Mussolini pressato dal suo alleato Adolf Hitler e inseguendo sogni di gloria entrò in guerra e tutti i riservisti vennero richiamati per combattere.
Il nonno che amava la montagna avrebbe voluto essere inquadrato nel corpo degli alpini, invece decisero di assegnarlo al Genio. Come geniere prestò servizio prima al confine francese e poi terminata la guerra con la Francia venne mandato a Napoli per essere addestrato sull’uso del telegrafo e venne assegnato alla 144 compagnia marconisti destinazione l’Africa. Il suo compito operativo era tenere i contatti tra le unità di combattimento e il comando centrale.
L’impreparazione alla guerra, le scarse dotazioni tecniche, il caldo del deserto libico e le strategie di guerra adottate da ufficiali poco qualificati portarono mio nonno ad alternare parecchie avanzate e ritirate perdendo parecchi compagni di reparto.
Partecipò infine alla disastrosa battaglia di El Alamein dove le forze dell’Asse furono battute dalle preponderanti forze Alleate. Iniziò quindi una precipitosa ritirata che si trasformò in breve in una sgangherata rotta dove la sua unità fu lasciata sola in una marcia forzata che si concluse in Tunisia dove vennero catturati.
Dal campo di prigionia in Tunisia vennero smistati e deportati in campi di lavoro sparsi per le nazioni alleate. Alcuni in America, altri in Inghilterra, altri con i francesi In Tunisia.
La vita nei campi di lavoro era dura ma perlomeno loro erano vivi, alcuni dei loro compagni purtroppo no.
Mio nonno attraverso un viaggio pericolosissimo in nave a causa dei possibili siluri lanciati dai sommergibili Tedeschi fu portato in Inghilterra e lì restò imprigionato fino alla fine del conflitto. Riesce però a salvare le fotografie che aveva scattato durante il conflitto e nella prigionia e tornato a casa costruisce un vero e proprio album di ricordi che ci ha lasciato a memoria di quanto ha vissuto. Le foto furono scattate con una semplice macchina fotografica Balilla, che fino a qualche anno fa avevo ancora.
Rimase prigioniero per altri 5 anni e torno a casa nel 1949 quando gli accordi tra la neonata Repubblica e gli alleati permisero il rientro dei prigionieri.
Dal richiamo militare alla fine della guerra aveva passato ben 10 anni!
10 anni in 9 foto
Le fotografie scattate da mio nonno sono forse lontane dalla guerra, Non ci sono cadaveri e paradossalmente non ci sono neanche armi da fuoco, ci sono le persone, tanti giovani mandati al fronte sapendo che avrebbero potuto non tornare a riabbracciare i loro cari. Man mano che esse scorrono dal 39 al 45 cambiano i volti e i luoghi sempre più disperati e solitari. Fino all’ultima un ritratto fatto dagli inglesi prima di essere fatto prigioniero. Una vera e propria parabola di vita che passa dalle prime immagini in cui giovani ed incoscientemente spensierati da sembrare quasi in vacanza in una Tripoli coloniale, che oggi non c’è più, proseguono con gli scatti fatti nelle avanzate dove giocano con le statue di Cirene per arrivare invece agli scatti tristi della solitudine delle tende nel deserto durante la ritirata e terminano con il ritratto da prigioniero e la foto di gruppo prima di essere liberato.
Il ritorno
Tornato a casa ha ringraziato Iddio di averla scampata ma non l’ho mai sentito parlare della guerra come prima di me non l’ho mai sentito mio padre, ha sempre pensato a quegli anni non come anni eroici da celebrare ma come degli anni perduti, anni che il fascismo gli aveva fatto sprecare.
Gli anni della sua giovinezza persi a combattere una guerra in cui lui non credeva e a cui non aveva potuto sottrarsi e nei quali parecchi suoi compagni di reparto erano morti.
Parlando con i miei studenti di queste storie ce ne sono tante, dal bisnonno di un ragazzo che per sottrarsi ai fascisti che lo venivano a prendere si nascose nel camino, alla nonna di un altro che invece scappò in cantina perché volevano portarla al lavoro forzato. Per non parlare infine del bis-nonno di un ragazzo che invece è andato partigiano insieme al padre e di quelli invece che furono mandati in Russia non sono più tornati.
Alla fine della giornata, i ragazzi ispirati dalla storia da me raccontata e dalle tante storie vissute dai loro cari avevano capito. Avevano capito che la storia aveva una relazione stretta con le loro vite più di quanto essi stessi pensassero e la lezione era stata meglio di qualsiasi film che trattava i crimini commessi dai nazi-fascisti o delle deportazioni.
Hanno capito che il nazi-fascismo e stato un periodo tremendo per tutti e ha portato tragedie e fatto uccidere uomini e donne per suoi folli ideali. Per un primato razziale che non è mai esistito, per un odio ingiustificato verso chi è diverso, per una guerra tragica, inutile combattuta per la sottomissione di altri popoli. Questo è secondo me il modo migliore per ricordare e festeggiare degnamente la Festa della Liberazione e il Giorno della Memoria, far capire che il nazi-fascismo ha privato delle libertà ed ha creato lutti e desolazione in tutte le famiglie anche le nostre e solo facendolo ricordare alle nuove generazioni possiamo prevenire ogni possibile ritorno ed evitare che queste tragedie si ripetano.